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domenica 17 dicembre 2017

Tre Sonetti romantici

V'è qui un Suòn tra le Nebbie dell'Inverno

V'è qui un suòn tra le nebbie dell'inverno.
Chi sta cercando quello che ha perduto?
è il Trovatore che pizzica il liuto!....
No! è il giullare che sibila uno scherno.

Sulla neve più impronte stàn d'eterno
peregrinàr lontano. Chi ha veduto
l'ombreggiare suo che cammina muto?....
No! è l'oblìo che procede dall'Inferno.

Ma il Tempo batte l'ore e non si placa,
donde il Destino i miei Sogni avvilisce
con la sua possa che rugge e che stèrmina.

L'ombra mia chiede altra ombra di sè ubriaca;
e oltre la via che lontana finisce
non sa il Mistero, nè cosa si gèrmina. 

Tu, sedendo lontana, non puoi dire

Tu, sedendo lontana, non puoi dire
che il mio Sogno è vergogna, che è furore;
ma se io tacqui, è pur vero, non il cuore
a te mancò fatàl di suggerire.

Ma, o gioventù spietata, vai a finire,
e nel mio inverno io resto co' il tuo fiore
conservato nel gelo d'un biancore,
una rosa che sa vìver, dormire.

Non còglierti più posso! Il Fato disse,
e sorge la Vanità della Vita,
il cui corso è spietato, e orrendo e infame.

Ma abbi pietà di chi misero visse!....
sì che se anche, purtroppo, ti ho smarrita,
ti dia un bacio sul cuore del tuo stame.

Amòr non ama Amòr che il Sogno uccide

Amòr non ama Amòr che il Sogno uccide.
Qual è il mio Desidèrio in tanta Notte?....
Sognàr, soffrìr, dolèr, speràr... a' frotte
s'èrgon brame; ma la Luna non ride.

Tra l'erbe sotto la neve e un po' infìde
questo che so di bufera tra' lotte
una sopravvissuta rosa inghiotte
l'eterno ghiaccio che non si divìde.

Così le ansie m'assàlsero inumane,
mentre la terra lògora taceva
di questa steppa che lucèa di neve.

Può, dunque, un Sogno urlare come un cane!....
E pur questa femminea schiatta d'Eva
o m'è tristo dolòr, o sguardo lieve.




Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVII del Mese di Dicembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

martedì 12 dicembre 2017

Un Sonetto alla perduta Gioventù

Erano gli occhi suoi a' fredda onda tanto
profondi; e lì mi rapìano costòr.
Qui mi toglièano, infatti, il sonno; e un canto
urlò lor sguardo - angèlico - e d'Amòr.

Non mai sembiante sì bello d'incanto
all'onde apparve mie, e del sangue, al cuòr.
Ma tacendo e sognando per cui avvampo,
avvenne che ella svanì, e fu vapòr.

Così m'è fiele il sognàr la perduta
età, che in sotto a' la Luna piena
più che ombra  ivi m'attende a stàr insieme;

e l'Anima mi duole, e si fa muta,
mentre mi palpita or di vena in vena
lei che scrèpita, l'ultima mia speme.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XXX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII. Rivista e corretta in Dì di Martedì XII del Mese di Dicembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

domenica 26 novembre 2017

Le Ricordanze di Anastasija

I
n stanza pallida,
ahi, triste camera,
giacque una fetida
ombra, sta muta.
Vladìmir esanime
giacèa, il dispotico,
Fato era Morte;
ed era rorido
del sudòr - l’ultimo.
V’era una giòvine
sua infermïera,
debole e timida,
sguardo perplesso,
occhi che cèlano
che custodìscono
tristo pensiero.
Muto era l’àtomo
del respìr, tremulo
era il bolscèvico,
tremante l’Anima…
muto cadavere.
Era già morto?....
«Nànja[1]» le disse
il suo morente
«Nànja, mi chiamano
i Fati. Nàrrami -
il mio desìo -
prima che l’Anima
muoia col corpo…
nànja, raccòntami…
fàmmi più docile 
la Morte pallida…
nànja, proclàmami
la fine oscena
del mio rivale!
Dimmi… sussùrrami
come morirono
i tetri uomini,
lo czàr Nicòla…
nànja, fa’ pago
il mio desìr!».
La donna in lagrime
era una giòvine
presa dal sudicio
sguardo d’un diavolo,
il manicomio.
Vladìmir ebbe
un dì pietà
di questa misera
fanciulla incognita
di prole stolida
rimasta ignota…
cadde malato,
la volle in camera
come badante
della sua Vita,
come figliuola.
Ma ora Vladìmir
era già muto,
era già gelido,
esangue, rigido,
fu paralitico
per mesi e giorni.
Chi ha parlato?
Forse il suo spirito,
forse sua Anima,
e ne chiedeva
la fìn dei Cesari….
Chi ha parlato?
Forse di misera
donna l’eterno
mistèr materno,
forse una figlia…
spirto d’isterica.
Nànja narrò.
«A marzo flebile
sotto le nuvole
le nevi sciolsero,
soffiàvan zefiri
a Ekaterinburg.
Marciando giunsero
rossi ed indomiti
i sòviet, uomini
co’ lor fucili.
Erano formidi,
e vendicavano
la gleba libera
fin dal lor Cesare[2],
la Duma[3] nobile,
consesso santo,
da czàr concesso;
e bestemmiavano,
marciàvan bruti,
ed èran vindici
or di Potèmkin,
ora dei martiri
spenti dagli ussari
d’aquile gotiche
per le trincee.
Vladìmir, dìcoti
quel che m’han detto!
Quest’empi urlavano,
chiamàron servi,
a questi diedero
truci scagliarono
fredde pallottole
in fronti esanimi,
sangue e terrore,
senza pietà.
Le serve or presero,
anche le nanje,
anche le dade[4]
e le spogliarono
senza pudore,
le uccìser tutte
lì violentandole…
lì le sgozzarono.
Presero i nobili,
lo czàr, la prole,
li trascinarono
sotto le nuvole,
di sotto il Sole
di Primavera.
Le nobildonne
s’inginocchiavano
dianzi a’ mariti
e proteggevano
i pargoletti.
Nicòla in tremiti
facèa coraggio,
guardava i crudi,
li benediva,
li perdonava….
Ebbe pietà!
La mira presero,
dunque spararono.
Sùbito caddero,
al suòl morirono
servetti e nobili,
lo czar, le femmine,
bimbi e neonati.
Vladìmir, dìcoti:
èran innocenti!
Questa tua furia
ha trucidati
bimbi che un giorno
sarèbber stati
savi ministri
di Pace e Amòr!
Vladìmir, dìcoti:
che dalla strage
si sia salvata
fanciulla misera.
Dìcon giurasse
vendetta orribile.
Vladìmir, fole
sono soltanto?».
Tacque la donna,
tacque il tiranno,
zitto l’inconscio
d’una fanciulla….
Vladìmir esanime
era già morto.
Yosef[5] entrò,
guardò il cadavere
con sprezzo e palpiti,
e sorrideva,
scrutò con sdegno
la giòvin femmina,
lei ch’era povera
matta… una folle
d’un manicomio,
senza famiglia,
forse una serva
di quei pezzenti
che dì lavorano
nelle gran fabbriche
pe’ i campi, i sudici
servi del Diavolo,
senza pietà.
Scosse la testa,
toccòsi il naso
per non sentire
l’odore putrido
di quello scheletro;
pensò al Potere,
e poscia uscì.
La donna, allora,
scossa e silente,
tremante tutta,
mise una mano
al cuore, al seno,
cavò un anello,
lo mise all’indice,
quasi pentita,
un po’ rapace,
e compiacente.
Sconvolti èrano
i capèi, in palpiti
il petto torrido
per tanti fulmini,
sembrava isterica,
folle… malata,
morbosa in turbini….
La man sinistra
accarezzava
il corpo rigido
del suo paziente,
del suo patrigno…
del suo tiranno.
Stringeva il pugno
con la sua destra
quasi a colpire
l’odiosa salma
dell’uomo amato.
Le labbra risero,
piangèvan gli occhi,
mesta alienata
da un Mostro infame,
Rivoluzione…
supina cadde
al petto esangue
del miserabile
sòviet supremo….
Sognava in lagrime…
e venne l’incubo:
tra il fango e i vermi
che pullulavano
come formiche
sul ghiaccio sciolto
stavano i nobili,
stava lo czàr.
La donna scorse
l’orbo cadavere:
«Otèts! Otèts![6]».
Niuna risposta
tranne che l’eco….
E l’infermiera
colta da un morbo
mostrava al cielo
di quella camera
del sòviet spento
un oro, anello;
lì v’era un’aquila,
serto bicipite,
pel Cielo vindice,
Gloria e furòr.
Ed ella urlò:
«Otèts Otèts!
Yà ljubljù tebjà…
Proschàj, Otèts,
proschài navièk![7]».





Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XXVI del Mese di Novembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.



[1] Badante in lingua russa.
[2] In Russia la Servitù della Gleba venne abolita negli anni ’80 del XIX Secolo.
[3] La Duma è il parlamento russo, esistente dal 1885.
[4] Nutrici in lingua russa.
[5] Ovviamente trattasi di Stalin.
[6] Padre! Padre! In lingua russa.
[7] Padre! Padre! Io ti ho amato! A presto, padre… addio per sempre! In lingua russa.

venerdì 24 novembre 2017

Sette Sonetti romantici

Ahi, non venirmi, oh Sogno, in questa Notte

Ahi, non venirmi, oh Sogno, in questa Notte,
dove giammai interrotto il cuòr mi trema
nell'aër freddo che non mi fa dormìr!
Beffardi sòrgon i tuoi spettri a frotte;
e qual risuona a me il loro anatèma!....
La noia, l'oscuro non può che frinìr.
Ma perché... perché ti chiedo, alle grotte
delle tue fauci, la Luna che frena
te stesso, il mio occhio non può più ferìr?
Ma perché eterne guerre, eterne lotte
mi dai? Così, davvèr, vuoi tu che io gema...
colpevole buio, mi vuoi fàr soffrìr?....
Ma, alfine, o Sogno, l'Anima mia cena
con te... e brinda alla Notte... e vai a morìr.

Passò l'Estate, morì Autunno, e Inverno

Passò l'Estate, morì Autunno, e Inverno
venne. Ma tu, nell'erba, or ghiacci, o rosa,
rossa come il crepuscolo del Sol.
Sembra che il tuo Destino sia l'Eterno
su questa terra.... Al prato ei ti fa sposa,
e ti conserva de' i passeri al vòl.
Vorrei còglierti; ma so che fia scherno
alla tua Vita, onde invàn mi sclamo: Osa!...
e l'eco mia ripete il tristo assòl.
No! Iddio ti culla qui tra l'erbe, e l'ermo
del ghiaccio Ei pone tra me e te, o graziosa;
e il Fato è non fàr quel che il cuòr fàr vuol.
Ma che sarà alla Primavera? Oh rosa!
Al tornàr appassirai di altro Sol!

Io 'l credo! che il mio Fato è non amàr

Io 'l credo! che il mio Fato è non amàr,
che il cuore vive le follie del Sogno,
che un Titano m'osserva, e sen gìa
a scrutarmi dovunque. Che odo il màr
dove annega l'onirico mio sonno,
che oltre i Sogni, c'è sol la Pöesia.
Che m'è pegno con Dio soffrìr, speràr,
che due ghigni mi fa l'eterno Donno
negàndomi ciò che il mio cuòr vorrìa.
Che bestemmiando sto... che vò a pregàr,
che credo un Cièl severo; e non vergogno,
che amàr non so, e il Sogno presto va via.
Che la mia Vita men vo' a sotterràr
per troppo Amòr di cotanta alma mia.

V'è un'Ombra che di Notte vuòl, mi chiama

V'è un'ombra che di Notte vuòl, mi chiama,
nel silenzio mi mostra due pistole.
Mi chiede: Dov'è il Testimone?.... A noi!
Qual è il Demonio, la possa tua arcana
che le gesta tue muove e le parole,
che mi fa destàr dal sonno?.... Che vuoi?
Berti il mio sangue! è questa tua mattana,
strapparmi il petto pria che splenda il Sole;
ma pùr tua mano è stanca... è vèr che 'l puoi?....
L'ombra, allora, d'un po' da me allontana.
Spari per primo!... mi ordina. Son fole?
Almèn, le dico, di' i segreti tuoi,
il tuo nome!.... Son Sogno, dice. A noi!
Continua, io so colpirti ove ti duole!

Rabbrividisco all'Urlo di Tormenta

Rabbrividisco all'urlo di tormenta,
a Morte son bendato dalle brume,
la bufera mi chiama, e copre il cièl.
Mi sento come una stoppia che spenta
nel campo aspetta il Fato delle rune:
èssere arata... l'aratro è l'avèl.
Questo buio, questa Notte mi spaventa,
d'un passero io sòn come il figlio implume
solitario rimasto al nido e al gèl.
Allòr l'Inquieto contro me s'avventa,
e in bocca ho il sapòr amaro d'agrume
acerbo: a stento al labbro or suggo il fièl.
Ma di cosa m'inquieto? A quale fune
mi lega il boja fatàl, servo del Cièl?

Sei tanto giòvine, e bella e lontana (Inno all'Estate)

Sei tanto giòvine, e bella e lontana,
e bionda, Estate mia, con i tuoi fiori
scintillanti al tuo velo e ai tuoi capèi,
e con il tuo màr. Tanto fresca e sana
sei, e mi rimembro i tuoi sensi, i tuoi ardori
casti, e il Sol che ti baciava su' i nei
della tua sera, del tuo tramonto. Ala
di speme, forse, allòr mi fosti; e i cori
de' i miei Sogni cantàvan gli Imenèi
per te. Ma so che non li udivi, o cara
giòvine Estate. E or che i ricordi indori
al mio fremente cuòr e i sonni rei
di sì casto peccato - i baci - onori
il mio lamento?... onori i versi miei!

Nella Notte lamenta un Airone

Nella Notte lamenta un aïrone,
e di colpo mi desta e mi ferisce,
onde ei sembra che dica: Non dormìr!
E così tèrmina ora la canzone
sognata, e al suo lamento si svanisce
il Sogno mio. Abbi pietà, non svanìr!
Non è il suo volto, non son le sue chiome
queste che mi ridestano; e or smarrisce(si)
il mio cuòr. Oh tu, Sogno, non morìr!
Questa è adunque la mia supplica; a prone
mani a te la rivolgo, e non finisce
questa preghiera, o questo mio martìr.
Ma perché dopo tanto incanto, airone,
tu mi svegli, e così, mi fai soffrìr?



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XXIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

martedì 21 novembre 2017

Sera di Nulla d'Autunno di Nebbia, l'Inquieto

Ma questa nebbia dove vuole andare?
È il perenne dilemma dell'Autunno
quando il mese dei morti volge al termine;
è quel che chieggo anch'io immerso in suo volto,
informe, e immane, orribile... e fatàl.
Vuole inghiottire anche i miei occhi già ciechi!
quando la mia campagna diventa ombra
e l'ale degli aironi si confondono
nel buio. Così la sera è una famiglia
d'atre nebbiose stirpi di insepolti
vapori erranti di spiriti inquieti;
e volgendo alla Notte, mi fa triste
il suo mantello spumeggiante di onde
invisibili, come se il mio giorno
trascorso fosse lasciandosi indietro
qualche desìo, o altro pegno, e tante cure
irredente dal cuòr che ora le lascia
al dominio de' i Sogni irriverenti.
Più non esiste un mondo; le dimore
svanite sono... cadute e disperse,
le chiese, i tetti, i campanili... il Tutto,
nè più esistono quei che conoscevo,
i loro visi, le femminee guance:
costoro qui si son mutati in nebbia.
Potrei dàr nomi propri a ogni suo atòmo!
E sembra che i defunti offrano un desco
ad altri morti in questo orrendo regno,
ergendo i calici in alto, e piacchiandoli
poi sulle bare. Vi prego, compari!
non urlàtemi insulti se dall'Oltre
scorgete la meschinità de' i Sogni
miei!.... Perché sol io, solitario in Vita
resto?.... Non voi gridàtemi insulse
bestemmie, oh estinti, che in prìa io vidi vivi,
se or che nel nulla dell'oìdi siete
io vivente soltanto a voi men gïo,
anelando terrestre ardòr e fuoco!....
Non urlàtemi se ora brindo esausto
alle nebbiose vostre tombe eterne!
Ma l'incubo scompare appena... appena,
e tutto - credo - torna a essere e a vivere;
e io respiro quest'aëre pesante
che dalle brume si stagna e mi opprime,
sì che mi pàr un po' quasi avèr acque
nelle narici, e annegare per sempre,
e tra la Vita e la Morte qui stàr.
Così sùpplico, e dico, e sogno e bramo.
Che l'eterna fulìggine s'espanda,
e seppellisca nella terra sua
eterea le cascine, i campi... i boschi,
lo sguardo mio rabbioso e rattristato
che qui somiglia l'umido riparo
della pieve che piange a' sacra effigie!
E mi veli il terribile orizzonte,
e allòr mi lasci ora sognàr d'estrarre
l'eroico acciaro contro il suo Titano,
e vendicàr la piccola chiesetta
nel cuòr di lui immergèndolo funesto!....
E raccolga la mia Anima l'airone
che nel suo covo si riposa e cena,
e mi canti una nenia per la Notte
l'ibis selvaggio che con lui divide
il nido, come d'Antonio Cleopatra
la Sorte!.... E scoppi una tormenta infame
di nebbia urlante più dei càn da guardia
agli spettrali cancelli dell'aie!....
Ma perché il pianto mio non ha più termine?
E ti conosco apparizione eterea,
il guardo tuo nella nebbia, e il mio inverno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

lunedì 20 novembre 2017

Notte della Steppa

Ma sarà eterno l'imperante scoppio
del tuo silenzio, oh steppa? 
Oh illimitata terra!
I muschi or si scintillano al crepuscolo
come l'argento di guerra che il trotto
dei Tartari ha portato.
Ma lo detesto...
lo disprezzo. Lo sai che mi offre l'ora
del sangue in fiele de' i Sogni melliflui?
L'ora del Fato!
Frattanto un gregge di cure e di angosce
d'accanto mi precorre un'atra via,
e i postiglioni
delle mie lunghe attese
tardano nell'inconcepita neve;
e grida l'eco di quella tormenta
che v'è, ma che non vedo,
di cui sento soltanto le sventure,
e di te, o mia steppa.
E di te, allora, dimmi
quando gli occhi miei vedranno la Luna
risplendere propizia per la quiete,
e alluminare la vastità tua
che si ripete
per le orme dei polovesi singhiozzi...
quando potrò chiederle una coperta
pe' il raffreddato sonno,
o farmi ebbro dell'acquavite immane
del cuor suo blando....
Noia perenne! E taci!....
Così anche tu mi abbandoni, o mia steppa,
che nel tuo vento mi riporti gli incubi,
e mi dai in pasto all'inquieto profano
della tua solitudine malvagia,
e non mi culli
i miei desii,
e non mi canti
le tue canzoni,
o mia improvvisatrice della Sorte,
eterno Oscuro aborrito e fatàl.
E chi mi darà una calda coperta
di lana per la Notte e per l'inverno?



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XIX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.