Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Valchiria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Valchiria. Mostra tutti i post

martedì 15 marzo 2016

La Cantica delle Valchirie

Eroi perduti che sòrgono a frotte
addìtano le nubi tempestate.
Oh voi Valchirie… oh voi Sorelle, udite!
Sàlgono i lor lamenti e si dispèrdono,
e il loro sangue, e loro bave, e il Fato
lentamente ora vanno nell’oblìo,
di Dönner disperando essi, singulti
perenni di Destino e di tramonto,
d’in sul trïònfo dell’invitte liti
che morìr li ha veduti presso il brando
insanguinato e folle, sovrumana
ira che miete dovunque la Morte,
ineffàbili crani primigeni.
Così è giunta per lor l’eterna Notte,
Anime inquiete nel Nulla scagliate,
e vanno… e vanno, perplesse e smarrite
dove gli omaggi al re Wòtan si rèndono,
tra le nebbie di un vèspero adirato.
E noi Valchirie, ombre di questo Dio,
i lor temprati ardori e i loro inulti
sospiri estremi e l’infinito affronto
flebilmente accogliamo, Anime miti;
e questo sonno rendiàm loro blando,
noi, posse occulte di Erda la Dea arcana,
bionde compagne delle Norne, Sorte
che aleggia co’ gli usberghi in sopra i seni.
Figlie del Caos, sorelle di Froh, brume
di Ygdrasìl, quercia immonda del Destino,
a prèndere corriamo questi spettri,
noi cavalcando i temporali oscuri,
oltre le vette dei monti del Reno,
lungo l’ombra dell’arpa degli Scaldi,
oltre i càntici bei di Lorelei,
Ninfa che geme sui mesti relitti,
ululando noi altère come i lupi
nell’inverno perenne della fame,
palafreno funesto e oscuro e tetro.
Eroi, oh Eroi, non temete! Sarà un lume
a risplèndere al vostro teschio, inchino
tempestoso e funereo dianzi ai scettri
degli impetuosi Dei, e dei più puri
dolci anelli di Freya, gemme al seno
dal peplo ricoperto - oh i veli baldi! -
intinti di amaranto, gioia dei lai
nella pugna versati. Oh voi sconfitti!
Qui con noi regnerete sui dirupi
che al crepùscolo son fulvi di rame
di intatto sangue, e in su’ i cieli di vetro.
Ma la tragedia non tarda a noi, ombrose
Valchirie del più freddo Nord dei fiordi
selvaggi e nivei, donde noi soffriamo
quando le eròïche e ansimate prede
un giorno trapassate ci sospìrano
melliflui sentimenti d’un arcano
or mai assopito, e femminile e vago,
un senso mite di irrequieto Amore,
che mai sarà corrisposto. E ei è il volère
della Natura primigenia e cupa
che con il ferro e co’ il rame ci ha ordito.
Saremo sempre posse burrascose,
di elmi coperti i volti che son sordi
nella menzogna a quello che sentiamo,
e col guerresco corpo, e il ferreo piede,
co’ gli occhi attòniti e fermi che stìllano
tàcito pianto, fatàl, sovrumano,
làgrime inquiete, làgrime di un lago
che spazia e inonda funestando il cuore, e
‘ve sempiterno vi è il nostro dolère.
E porteremo con noi questa cura,
la porteremo lungo l’Infinito.
Fortunata Brunnìlde in suo riposo,
almèn nel sonno troverà il suo sposo.

Wòtan un dì si girò, e la baciò,
tra le fiamme di Lòg(h)e, il Dio più saggio.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
la cullava nel sonno e nel miraggio;
e danzava d’intorno il fuoco eterno,
ridèvano le scialbe sue lenzuola,
in un letto di bara eterna e viva,
in un letto di Morte e di sopore.
Wòtan un dì si girò, e la baciò,
dàndole - chè era figlia - ùltimo addio.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
perché Ei voleva èssere sempre un Dio.
Così riposa la nostra Regina,
dalle fiammelle circondata, e stesa
d’in su’ un monte segreto che soltanto
Mìme conosce e il suo prode figliastro,
Mìme silenzia a un figlio di Valchiria.
Wòtan un dì si girò, e la baciò,
sulla fronte tremante e che non regge.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
ella osò andare contro la sua Legge.
E ora lì addormentata attende invano
che la lancia dei sacri Patti muoia,
e che le fiamme retrocèdan svelte
al corno di un Eroe anònimo e oscuro,
al corno della Vita e della Sorte.
Wòtan un dì si girò, e la baciò,
dicendo che un baciàr la sveglierà.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
e dov’ella ne sia nessùn lo sa.
Erda e le Norne vòglion che costei
sia l’ùnica Valchiria che ami, e tanto…
costei che aspetta il risveglio di un labbro,
il risveglio di un bacio.   



Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Una Valchiria, Dipinto di Peter Nicolai Arbo



In Dì di Martedì XV Marzo Anno del Signore, di Grazia e di Divina Misericordia, AD MMXVI 

lunedì 30 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

VIII. Preludio poetico. L’Idillio delle Vette

E Freya e l’Elfo sen vanno verso il Regno
dei monti degli Dei e delle lor Dee,
dove grida la lancia dei superni
patti di Wotan, e di Fricka il pianto
sui folli ardori dell’infedèl sposo.
E vanno… e vanno per sentièr ombroso,
timidi e muti, l’un l’altra d’accanto,
e i vàlichi ne sàlgono - quei eterni -
tra i lieti boschi e i stagni di ninfee,
l’Elfo compiendo il meritato pegno.
E nessùn conosce dell’indegno
Alberico le gesta oscure e ree,
e vèggonsi dei scorsi e antichi inverni
d’intorno i ghiacci, e gli imi e tenui colli;
e tra le nebbie e le nubi dei monti
l’ombra s’ammira del Reno divino,
donde le Ninfe lamèntano invano. E
quest’ombreggiàr or sen va più lontano,
e svanisce tra il faggio, e il sterpo e il pino.
E a Freya e all’Elfo si schiùdon gli orizzonti
delle montagne primigenie e molli.
Sempre silenti e con i passi folli
costòr pàssano or gli antri e i lignei ponti.
Così d’intorno non hanno che cime
lievemente innevate e maëstose,
e ora sàlgono… e sàlgono più in alto.
Sulla vetta più immensa sta lo spalto
degli Dei fatto di grotte e d’ombrose
pietre; ed è il Regno divino e sublime. E
scòrrono i rivi e i torrenti sull’ime
vallate e sulle foreste rocciose.
Così Freya ammira le montagne, e muta
l’Elfo seguendo coi passi procede
senza fatica sulla pietra, e scruta
l’alpìn sentiero che dinnante ei incede,
roccia selvaggia che è ancestrale e cruda.
D’in su’ un dì solo ell’è nata e vissuta,
e allor meravigliata intorno vede,
e i monti apprezza, mentre l’Elfo sputa -
affaticato or dal vino e dal piede -
selvaggiamente sulla terra ignuda.
E Freya contempla i castagni e gli ontani,
e i faggi e i canti dei lor uccelletti,
e nei boschi gli alberghi dei buon Nani,
i divi Gnomi sotto i salci freddi. Ed
è questo il loro bosco: i bassi aspetti
le fanno inchini e dìcono d’arcani,
e poi si còpron sotto i loro tetti,
le foglie antiche dei ramoscèl secchi.
E Freya ancòr sale… e sale e giunse al passo
dell’Alpe dove si geme pel lasso,
e qui si schiùdon tremende e funeste
delle Valchirie le triste foreste.

Sièdon le donne sulle rocce sante,
avvolte in manti di pelli e di penne,
e sopra i pepli tèngon l’armature,
gli usberghi ferrei sul petto e sul seno,
e con le destre impugnano e alabarde,
e fredde lame e irrisori pugnali,
e lungo i crini gli elmi della guerra,
e sotto, i volti guerreschi e gentili,
e altre bèvono le resine amare
delle querce fatàl, delle betulle,
e ivi cantano… e cantano alla Morte,
Furie soävi del truce Destino.
Ed esse sono belle e sono tante,
e brìndano coi corni delle renne,
e dòminano fiere queste alture,
ed esse son protettrici del Reno.
Hanno mantelli oscuri, e fulve barde
tinte del sangue dei Prodi mortali,
e solo un loro sguardo un Eroe atterra.
Apprezzano i valenti e non i vili,
e allòr sàlvano i primi dalle bare,
terrificanti e furiose fanciulle
che agli orizzonti e su’ in ciel son assorte,
Figlie di Wotan, possente e divino.
Còrron pei boschi e sèllano i destrieri,
e vanno… e vanno alla caccia dei cervi,
e dei cinghiali, in man gli archi funerei,
dove le fonti zampillano quiete,
all’ombra dei castagni di montagna,
affamate di vittime e di fiele.
Saltèllano… e saltèllan pei sentieri, e
i desti sensi son qui i loro servi,
occhi acquitrini e celesti e cinerei,
e fiuto che di sangue ha sempre sete,
e labbro che di sangue ognòr si bagna, e…
e questo sangue è come ambito miele.
Ma pur costoro s’inchìnano a Freya,
ed Erda, Erda - oh Erda! - più truce ne abbaia.

«Freya, non temère! Presto arriveremo!»
l’Elfo sogghigna alla tremante Dea.
«Freya, non temère! Presto arriveremo!»
ancòr aggiunge ei a quel fior di ninfea;
e poscia il bosco di queste Valchirie
ulula un lupo che vive di giorno. Uh! Uh!
Ella ingenuämente ha un po’ paüra, e
d’ogni Valchiria e del ghigno ululante.
Ma nel frattempo d’ogni senso è amante:
di ciò che mira e sente, e di Natura.
Forse va rimembrando il fresco Reno,
e le tenzoni con Lorelei, e i canti;
ed ecco che qui v’è l’arcobaleno
che degli Dei le annunzia e l’antro e i vanti.
E l’iri è bella, e ordita d’adamanti,
della Notte e del giorno è una lucerna,
d’Erda la creätura più superna,
d’Erda infame, ingannatrice oscura.
Or Freya contempla la vicina altura,
delle divine grotte il soglio urlante.
Oh quant’è ingenua, e lieta ell’è dinnante,
ella, sì, delle Dee la Dea più pura.
«Vedi quegli antri che stanno sul monte?
Sono le regge dei nostri fratelli.
Vedi quegli antri che stanno sul monte?
Degli Dei sono i sassi ardenti e belli».
E poscia il bosco di queste Valchirie
ulula un lupo che vive di giorno. Uh! Uh!
E Freya s’appresta a conòscer gli Dei.
Erda, Erda, oh tu Erda! Libera i tuoi Rei!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Lunedì XXX Novembre AD MMXV