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martedì 16 aprile 2019

Les Gargouilles

Vide la Luna una pira di pietre.
La Notte impallidì di fiamme e stelle.
Una campana suonava funerea.
E per l'aure era una foglia di vento:
la Gargolla gridò del Diavolo arso
quest'orgoglio perenne.

Ormai l'organo non può suonare che un
silenzïoso Dies Irae per Pasqua.
Ormai una rosa di vetro non può
che riflettere un muto Tabernacolo
ghermito da Satana. Ormai i roghi crepitano,
e divorano le Anime degli ultimi
eretici... degli ultimi Santi. Amen!

Caspar David Friedrich, Il Cimitero della Cattedrale, Romanticismo tedesco, prima Metà del Secolo XIX


Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XVI del Mese di Aprile AD MMXIX.

lunedì 31 dicembre 2018

A Psiche - Elegia in Metrica barbara

Sii libera, Anima... non schiava d'un morbo... pensiero,
d'un bardo che non sogna socchiusi quest'occhi, dormendo!

Sia la Gioia su di te, per sempre! Lo voglio!.... E il desio
consacro in muta festa - a' il miel del Falerno. E se sei ebbra

di tanta Poesia... - e se ora ti spiace il mio canto,
e se offesa ti reputi da un labbro profano... e se il cuore

non batte che palpiti sdegnati di Furie inumane...
lascia profondo e tacito nell'aere eterno silenzio...

e lascia il mio cantico mutarsi in sepolcro d'ambasce
dove in Notte posarti corone di pianti e di fior!

Autore Ignoto, Una Scena di Musica, Accademismo Italiano, Seconda Metà del XIX Secolo

Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XXXI del Mese di Dicembre AD MMXVIII.

martedì 20 novembre 2018

La Gioia dei Mosti di Novembre

Il Nevischio

Cala il nevischio allo svanir di nebbie. E

mi sovvien allor la sera; e m'è d'annunzio
del verno che la sua labbia a me volge.

Oh nevischio... nevischio mio candore!

Figlio conteso del verno e dell'Autunno,
illegittimo il tuo nome sacrato

alla vergogna di queste stagioni!....

Prole di piova e di ghiacci vigliacchi,
nascosti nell'amplesso delle nuvole!

Illegittima brama de' i singulti

di Novembre che alluminano il cielo
di freddezza inumana e furibonda!

Oh nevischio... nevischio, freddo nido

degli aironi cinerin de' i campi
che tèmon tua gagliarda gioventù

di sì pasciuta neve! Oh mio nevischio!

che come brina scendi alle lanterne
della sera e di vie rese intristite 

dall'empia solitudine del vespro,

nelle qual io m'aggiro avvolto in manti
d'altrettanta mestizia. che al par tuo,

nel cuor mi covo, vagolando altrove,

nel seno de' i morbosi Sogni! Oh caro
nevischio! Ombra invernale su' i miei passi!

Fia così che la neve appressa tacita

a precipitar su' miei occhi assonnati.
Oh eco della bufera! Ahi triste!.... Oh Oblio 

della Notte perenne e del profondo

sonno di questo piccin, pìccol mondo!
Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), Inverno, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XIX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Il Brindisi autunnale

Può un sorso di vin buono in questa gelida
steppa di risaie rallegrar la sera?....
Bevi! Il suo liquor sorseggiando, oh Autunno!

Bevi i giambici versi della mia Ebe!....
E poi, ebbro, vai... va' a intristire la Notte,
a nevicare il tuo pianto d'ubriaco...

a prenderci per mano a ricondurci
a' tuoi covi segreti, ove Proserpina
dorme, Ade abbracciando, il rapitore!

Ma Novembre ora è stanco anche di vino.
La Luna bianca riflette la neve
che presto scenderà a coprir i tetti.

E noi ridenti alziam il nappo estremo
per l'eterno silenzio dell'inverno.
Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), I Cosacchi, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Fantasia norrena - Sette Rune

I. Freya scalda il vino che Froh le dà, il povero
burlone. Forse il menestrello brama
in cambio una delle sue eterne mele
che son pegno d'eterna gioventù.
Forse lo stolido aspira soltanto
a un bacio dalle sue labbra di fuoco.
Oppure vuol donare quest'ebbrezza
di dolci tralci alla figlia di Wotan.

II. Sulla scogliera Lorelei diffonde
lo sventurato canto; e legni e prue
consacra ai cari suoi abissi di Morte.
Non s'accontenta, infatti, del suo mosto;
ma vuol ber anche il sangue vagabondo
de' i timidi pescator di sue perle.

III. Freya ha ordinato che sia festa. Ma manca
la gioia del vino bevuto da' i corni
delle sacre cerbiatte de' suoi boschi.
Chiama il fratello Donner con sua dolce
suadente voce; e mentre il menestrello
con Loge litiga e contende un fuoco,
ella domanda: "Ma dov'è finito
il cacciator delle mie cerve? Il vino?".
Donner la guarda, le sogghigna e ride.
Poi risponde: "Ne' tuoi bei desideri!".

IV. Hundig abbaia, la Notte insultando
e di Wotan la stirpe abominevole.
Cieco è negli occhi abbagliati dal vano
fuoco di Luna.... Ha bevuto troppo!
Ha alzato al cielo più corni di quelli
che la Gioia del suo cuore richiedeva;
e ora, dinnanzi agli ospiti stranieri,
in mano tiene l'acciar di vendetta.
Per qualchedun non vi sarà più l'alba!

V. Beve Flosshìlde il vino di Novembre,
e una goccia s'appoggia al suo mento.
Le serve forse il bacio ripugnante
de' Nibelunghi? Quella lingua infame
l'ora non vede di solleticarle
appena sotto le labbra fiammanti
di giovinetta! Ma beve Woglìnde,
anch'ella! la maliarda pia Sirena,
il mosto giù mandando con il collo
e il petto un po' sollevato dall'onde
impudiche! E poi beve la sorella
Wellgùnde... su uno scoglio appen seduta.
Deh! guarda, Nibelungo! Il mosto
cola leggero sopra il suo bel seno.

VI. Giace con la nuca al petto ignudo
del risvegliante Eroe l'alta Brunnhìlde.
Sente il suo cuore che palpita ancora
a diletti commosso della carne
e dell'Anima prode. E poi lo guarda,
e gli sorride. Le ciocche di biondi
capelli appena le coprono il seno
ad Amor profanato da' suoi baci.
E Siegfried con la destra allor le mette
al labbro, dopo tanta Notte allegra,
il calice nuziale delle Dee.

VII. Erik osserva l'orizzonte esausto.
I serpenti del mar non l'han voluto
nel loro Regno d'ignoti naufragi.
Lontana sta la terra. Sembra un'isola.
Sulla collina le gagliarde viti.
Questa sera si beve il vino buono!
J. Doyle Penrose, Freya, Preraffaelliti, Tardo-Romanticismo inglese, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Meriggio tra i Campi

Passo il meriggio ne' Sogni sconvolto.
Guardo la nebbia che viene e svanisce.
Siedo appoggiando le spalle a un covone.

Chi fischia le canzoni dell'Autunno
che baldo incede tra' campi mietuti?....
Chi sugge il fango dell'ultima piova?....

Penso!.... Odo l'urlo d'un'esule rondine,
il piccol becco che trema d'un passero.
Sento che il verno è prossimo a venir.

Oh Novembre!.... Sepolcro d'insepolti
vivi pensieri! Come mi sei freddo
per queste paglie umide di nevischi!

E mi è amara la spiga che ora al labbro
porto per assaporare il tuo declino!
Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), Gli ultimi Boiardi, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.




domenica 18 novembre 2018

Il Tramonto d'una Domenica d'Autunno

Tramonto

Oh Tramonto!.... Tramonto!.... Della sera
pallido annunzio... pallida quiete
del meriggio; del vespro eterno incanto
di profonda mestizia!
Oh Tramonto!.... Tramonto!.... Mancan pochi
attimi al tuo sovvenir nuovo! E il Sole
si addormenta leggero; e il cielo è triste.
Oh Tramonto!.... Tramonto!
Dei segreti notturni mio custode,
guardiano de' i Sogni ripetuti,
della Notte singulto di terrore
disumano e feroce,
lagrima mia che scende e che distoglie
lo sguardo dalle foglie che precipitano
con vergognoso chiasso palpitato
dalla lor timidezza!
Oh Tramonto!.... Tramonto!  Delle estive
tife riposo, sonno delle ripe,
pallida cera di pallido cielo
dove tutte le mie ombre
si sfumano e si sperdono in un'unica
nera sembianza: la Notte che viene,
la nebbia che governa e che si espande...
la mia Notte profonda!

John Atkinson Grimshaw, Tramonto di Campagna, Tardo-Romanticismo inglese, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signor Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

L'Ora del Tè

Viene il morente meriggio che ride.
Vedo le nebbie salire d'intorno.
Sento la sera che chiama il mio nome.

L'immane corpo dell'Autunno or schiude,
anzi, spalanca le fauci sue crude;
e brividi mi infonde col suo vento.

Scorgo i camini che fumano a' nuvoli,
l'odore annuso del legno bruciato.
Tutto s'abbuia tra i campi che dormono.

E il Tramonto mi copre del suo Sole
che debilmente muore, ergendo rosei
petali della sofferenza sua ultima.

Nel gelo della sera allor mi scaldo
bevendo un Tè che vien dall'India ardente.

James Tissot, L'Ora del Tè, Accademismo francese, Fine del Secolo XIX
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

La Fuga dell'Autunno

Cupo è il meriggio. La nebbia è più cupa.
Inganno è il Sole, profonda menzogna
di un mite giorno d'Autunno inoltrato.

Eppur, ieri soltanto era l'Estate.
Era la Gioia, l'incanto della Luna,
dei ricordi, dei Sogni. Era la Vita.

Passa veloce l'Agosto, e con sé
trascina Ottobre, il figliuol vendemmiante 
che, come me, vuol fare colpo su Ebe.

Resta il nevischio che piove il mattino,
la brina sulle foglie irrigidite
dalla caduta. Novembre è Re eterno.

Rimane che fra poco vien Natale...
e dianzi al mio cuor starà un altro inverno.

Scuola russa dei Peredvizhniki (I Vaganti), Autunno, Tardo-Romanticismo russo, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Anacreontica Ebe

Ebe! Non siamo che foglie di mosto
spumanti ne' torrenti della Vita
che sovente ci illude e ci dispera.

Così è la mano del Destino che erge
alla sera i bicchieri dove viviamo:
mano robusta... empia... fatta di vento,

man che ha piacere a seguire le voci
delle rune tacenti... man tremenda
d'un labbro che ci sorseggia in gran quiete.

Sì, Ebe!.... Qui siamo i sòliti figliuoli
delle tue illusioni di vendemmia,
che co' i Titani patteggiano segreti.

Ma almeno co' il tuo vino non dimentichi
di far la danza per noi che moriamo.

Otto Pilny, Una Danzatrice del Deserto, Tardo-Romanticismo svizzero, Fine Secolo XIX
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

Le Rune della Notte

Oh rune vagabonde della Notte!
Così svelte venite a coglier le ombre
del giorno! e nebbie date a queste terre!

La Natura vi ha scritti i vaticini
di questo cambiar di stagioni spente
che sempre si rinnovano e defungono,

che ritornano eterne, belle come
erano prima di posar su' i funebri
letti del sonno lor, finto perpetuo.

Ma io, a voi dinnanzi, mestizie catturo
e noie perenni, e tremebonde lagrime,
e irripetibili oscuri tormenti;

donde alla fine il lume del Tramonto
mi seppellisce nel suo oblio di Morte.

Andreas Achenbach, Le Coste di Capri, Tardo-Romanticismo fiammingo, Fine del Secolo XIX
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

La Messa

Imman fortezza è il Signor nostro Iddio.
Squilla, Domenica, i bronzi delle chiese,
dove risuona l'eco della Notte!

Ma a mezzogiorno le vetrate gotiche
possono forse rifletter la Luna
che presto giungerà a illuminar le ombre?....

Ma tra le fiamme delle mie candele
è già il buio a imporre il suo regno tacente?
E si traveste da Mostro l'altare!

Il Sole, infatti, decade e si spegne.
Il giorno è troppo breve per pregare
senza paura della sera oscura.

Non so più quale Gioia la Messa evoca.
Su un legno io vedo solo un Uom che muore.

Adolf Humborg, La Cucina dei Frati, Accademismo satirico tedesco, Fine del XIX Secolo
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVIII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

sabato 17 novembre 2018

Il Mosto del Barbaro

Nebbie! sorgete, oh spettri di guerrieri!
Bocche di Villi da' bardi baciate,
cristalli di vendemmiata pioviggine!

Dianzi a' il buon mosto, intanto, da voi io lungi
giacio. E ripenso!.... Oh rosei vapor
del Crepuscolo! sìmili alle guance

dell'Ebe che sorseggio! Oh amica sera
che i ricordi del giorno mi divori
lievemente scaldandomi alla Luna!

Oh arpe che inneggiano al sepolto corpo
di Freia, l'estiva, fertile a' le fiamme
infinite del Sole! Ahi, canto funebre

che Skàdi evoca alla Vànir dormiente,
mentre il nevischio annunzia il nuovo inverno!

Ho freddo, oh nebbie! E la mia landa immensa
sotto i miei occhi inghiottite. E penso. E piango.
Oh foglioline indispettite a' vischi

per le falci de' Druidi dell'Autunno!
Oh corpicini secchi che insepolti,
poiché inumani, le Valchirie évitano

nel lor guerresco volo! Oh tintinnar
di rigide ocra reliquie di querce...
oh fulvi rimasugli de' bei pioppi!

Oh cimbe di fogliami remiganti
sulle più sacre ripe dell'Arbogna
've il mio calice accoglie il vin selvaggio

degli acerbi vitigni! Oh Erda... Erda, Dea
di questa addormentata, empia Natura! 

Hai tessute le spoglie delle Figlie
delle onde de' torrenti! il dolce ventre
a Freia hai donato! Hai splasmata

la cetra urlante di Lorelei che urla
fino a farsi sentir tra queste brume,
bianche regine del mio freddo Nord!

E ora io godo del tuo vino mietuto
dal correre del tempo che lo invecchia -
ei immortal, io dannato a estremi spiri!

Brindo a te, allora, oh Natura pallente,
cui sopravvivo al momentaneo sonno
per avere nel cuor i tuoi gai ardori!

Brindo a te, e immergo il nappo a' la mia bocca,
e avrò qui forse un po' di caldo, allora!

E penso! E bevo!.... Froh! non hai scordato
il mio desiro di coglier la Gioia
baciandole ne' Sogni ansanti labbra?....

Ma odo che sempre più la piova cade,
e il meriggio mi pàr sempre più breve,
donde qui a me ei rapisce ore di Vita.

Così svelto sovvien, infatti, il vespro,
e presto si svanisce il sacro fuoco
del mosto di novembre in mia ogni vena.

E mi rimane l'eterno cordoglio
che de' bardi ferisce il cuor che duole:
il Sogno! Ombra che appena all'alba muor.

E so che in questi brividi di sera
il nido intesse questo oscuro Fato!

Gustavo Simoni, L'Istoria del Menestrello, Tardo-Romanticismo italiano, Fine del XIX Secolo


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato XVII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

mercoledì 14 novembre 2018

A Nietzsche. Gli ultimi Versi del Folle del Mercato

                  Ovvero Come finì la Gaia Scienza


In piena Notte e tra le nebbie è un uomo
cieco. Vedi la benda sopra i suoi occhi?....
Oh Federico! Atòmo
egli è. Fango di sciocchi!

Terra illusa che irride e ti schernisce
è il suo pallor che la pupilla offerse.
Ma più non lo ferisce
il buio dove s'immerse.

Oh Federico! Com'è aspra or la Notte!
Come le tenebre offendono il cieco!
Urla che vanno a frotte,
dondolando nell'eco.

E la pia cattedrale sta deserta,
fatta di pietra rovinata e grezza.
La porta giace aperta,
dal vento che vi olezza;

e al posto del Crocifisso sta un lino
che in sull'altar dimostra un'ombra cruda:
fatta col carboncino
una fanciulla ignuda.

Entra il viandante, ed esce e non sa dove.
Due Angioli fanno lode a spenta nube,
là, dove ora si muove
quell'ammaliante pube. 

E sempre nella Notte il cieco vaga,
lento... lento cammina ma è sicuro.
Del giorno non s'appaga,
ma nemmen dell'Oscuro.

In mano non ha il possente bastone,
a sorreggersi; né ha fioca lanterna.
Eppur non va a tentone,
par che d'intorno ei scerna.

Ma nel villaggio ormai è vuota la piazza,
e il gotico campanil sta cadente.
V'è solo una ragazza
per la via seducente.

Oh come mesta! Con il suo ventaglio!
Con le sue vesti schiuse, oh com'è triste!
Pur forte nello sbaglio
di veneree conquiste.

"Se vuoi piacer, oh viandante, un po' d'argento!
Andiamo nel giardin del cimitero.
Mi denuderò al vento
per te che vedi nero!".

"Ascolta!" dice il vecchio vagabondo:
"Chi stai cercando, colà, tra le tombe?
L'amante furibondo,
o i vôl delle colombe?".

E intanto la Gargolla dal suo Tempio
le bestemme canticchia del mercato.
Dei Cieli fa uno scempio,
un inno intesse al Fato.

"Che cerco? Il sai: desio un bacio al mio seno,
che mi possa scaldar questa Notte atra.
Son l'ultimo Veleno
d'una stirpe idolatra.

Sono il fuoco che brucia idilli e ninfe,
la fiamma che arde la debil mia carne.
Che io sia tra le tue grinfe,
di me non so che farne"

dice la donna: "e tu chi sei, oh meschino?".
"D'un Oltre-Dio qui son Profeta e Gioia!
Libero dal Destino!
Libero dalla noia!".

"Fai ridere! Sei buffo!.... Tu sei cieco;
eppur cammini come se vedessi!
Qual è il trucco? T'impreco!
ché un trucco in te vi lessi".

"Ascolta, oh donna, l'annunzio degli orbi!
In questo tuo villaggio che fia morto
dico tra' i vespri torvi:
guardalo!.... Dio è risorto!".


Toulmouche, Dolce Far Niente, Accademismo francese, Seconda Metà del XIX Secolo


Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Mercoledì XIV del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

domenica 4 novembre 2018

Idillio della Via, della Luna, della Piova e del Tramonto

La sera lagrima
da' tetti. Vaga
cader di piova.
Così scintillano
le gocce. Allaga
questa mia alcova.

Cadon, tintinnano,
per le grondaie,
per le tettoie,
fanno pozzanghere,
per le risaie
senza più gioie.

Odo: che sembrano
trilli di bardi,
urla del vento.
Sento: che spirano
come gagliardi
Dei di Tormento.

Viene il Crepuscolo
sopra i miei occhi.
M'induce al pianto
la melanconica
sera; e que' tocchi
d'un bronzo santo,

sento, m'invitano,
al mesto altare,
a' suoi rosari...
alle mie oniriche
fiamme, sognare
di Sogni amari.

Sento, mi gridano
con santo flemma
urla profane,
grida degli Angioli;
Dio fa bestemma
delle sue vane

torve e fuggevoli
fanghiglie oscene
di creature
cui ne perdurano
respiri e vene
fatte di cure.

Le piove scendono
sempre più forti,
sempre più balde.
Dopo s'acquietano,
strette... consorti
di molte falde.

La via sta tacita
lungo i tuoi tigli
or forse assenti;
un cane s'agita,
mostra gli artigli,
mostra i suoi denti.

Contro la mia Anima
fa da guardiano
quando i miei passi
d'intorno muòvonsi.
Vanno lontano.
E sono lassi!

Ti dico, oh Ecate!
Son solitario
per fredda duna,
quando la Sìlfide
vola al sudario
di falba Luna;

quando da' loculi
sorgon le Villi.
Muovono danze,
mostrano gli esili
piedi di spilli,
cantan romanze....

Ballan su' striduli
sepolcri aviti;
sangue innocente
quivi ne adescano
presso que' miti
di ballo ardente.

Tornan le lagrime
di questa sera,
del novembrino
gelido aere.
Il labbro spera
bèver del vino

mellifluo e tiepido
a far conforto
di questo gelo...
a ber de' palpiti
d'un cuore assorto
chiuso in un velo

ordito a funebre
segno di Morte,
pegno d'Amore...
tessuto a' lugubri
voler di Sorte
e di dolore.

Sono uno spirito
che corre, ed erra
senza una meta
su questa tremula
orrida terra
di vespro asceta...

crudele vèspero
che proibisce
quest'avverarsi
di dolci incubi,
che si svanisce
per tormentarsi.

Sono l'omuncolo
che soffre e adora,
ombra d'un uomo,
d'un fango torbido;
è giunta l'ora
d'essere atòmo.

Sono l'incredulo
amante muto
che ti divora 
dentro i suoi cantici,
che getta il liuto
che ti innamora

d'in su' le implacide
ripe d'Arbogna,
l'onde del Fato.
Schiuditi al naufrago!
Empia vergogna
d'un uom odiato!

Schiudi i tuoi moniti
di pena atroce,
folle pensiero!
Slancia allo stolido
segno di Croce
il tuo levriero:

affonda, sbranami,
tagliami il collo,
il sangue bevi
della mia ugola,
dove barcollo,
grida! lo devi!....

Senti tu tremula
Luna il deliro,
l'estroso detto
di questo rapsodo!
Odi il respiro,
odi il sospetto!

A tanto giunsero
con le tue piove
fatte di cloro
questi miei spasimi,
fatte di nuove
doglie. T'adoro!

Calma! Pioviggina,
sembra la fuga
d'un musicista
di disarmonica
speme. Prosciuga
la terra; è trista

di questi mistici
suoni tremendi,
questo scrosciare
d'inquiete gocciole,
e non t'arrendi
nel mio sognare!

Calma! Pioviggina,
tutto il mio pianto
su' tuoi capelli
neri d'accoliti
sospir d'affranto
cuor di ribelli...

sulla tua giovine
pelle abbronzata
di sotto il Sole
d'una gradevole
estata ambrata
con le sue viole...

sulle tue libere
labbra di bacio,
mento di Dea,
oh Luna flebile,
dove mi giacio,
dove mi fea

tosto il tuo fascino
presto rapito,
passati gli anni,
trenta dal cerulo
incontro ardito
primo d'affanni....

Piove sull'indice
privo d'anello,
pallida speme
del tuo spasmodico
cuore rubello,
viviamo insieme.

Calma! Non scendono
le piove. Torna
un vento. Piace
fischiar all'Ecate,
cangiarla adorna
d'abbraccio audace.

Ma le mie lagrime
scendono ancora
sul mio Novembre.
L'Autunno s'agita,
grida... divora
tutte mie tempre.

E in questo oceano
fatto d'assenzio,
fatto di mosto,
so che è durevole
il tuo silenzio:
dura d'Agosto!


Tranquillo Cremona, L'Ellera (L'Edera), Romanticismo e Scapigliatura italiana, Fine del Secolo XIX


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica IV del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

mercoledì 24 ottobre 2018

Gelido Spleen d'una Sera di Autunno

Ho freddo; e tace. Tace il vespro inquieto,
le ombre del vento su' i pioppi difformi.
Tace il proscritto Sogno. Tace il Sole
che crolla. Tace
l'eco perenne de' i singhiozzi amari,
le orme della bipenne. Tace il labbro
di Ebe, che si protrae in silenzi oscuri
per ogni Notte.
Tace il destriero che porta le lettere
nelle Tempeste de' le prime nebbie
a' il piè del nuovo novembre. Tace anche
l'alba che viene
appena dopo il regno de' le larve.
Tace il fiore al cospetto della pieve
per la campagna; tace lo sbadiglio
di ombrosi campi.
Tace la dissacrante processione
egizia degli íbis per le ripe
che bruciano di paglie. Tace il cieco
oblio delle anime
del cimitero. Tace il tuo occhio. Tace
il sopraciglio del pallido Autunno
che ami con me, Ebe. Tace la pianura
qui sonnolente.
Tace all'altare la spogliata croce,
l'ostia che maledice e mi condanna.
Tace l'Eterno. Tace la marmorea
statua de' Santi.
Tace il teutonico animo di un cuore
sotto spoglia mentita. Tace il Fato.
Tace Proserpina al suo orbo Plutone
pria di dormire.
Tace il singulto del Tutto profano
che piange e grida per questi suoi sferici
orizzonti morenti. Tace un urlo
che è tanto forte
per essere sentito da una stirpe
figlia del fango. Tace il frutto antico
del Male, il loto sopra il seno di Eva.
Tace la Gioia.
Tace il represso Desiderio. Tace
quel capello piangente d'un bel salice
che attende la perizia di man druidica
a far corona
per le bare de' i Sogni. Tace il fosso
che a' neri sguardi ti sta dianzi e a' fosche
fiammelle del Tramonto. Tace il fumo
del campo in preda
dell'igna falce de' il mietitor. Tace
l'Arbogna che fa il conto delle impronte
e de' passi che sente. Tace il corso
del prosciugato
mare delle risaie. Tace il mosto
che avvelena i miei istanti di pensieri
sommessi. Tace l'airone che cerca
l'ultimo seme
di riso. Tace la Natura insonne
nel suo autunnale sepolcro inumano
che in mano porta i teschi delle vittime.
Tace la Vita.
Tace la rimembrata Luna al vecchio
incontro. Tace l'Estate trascorsa,
annientata al svanir di queste maschere
sognanti. Tacciono
i nostri cani, le nostre vie, il mio
sepolcrale giaciglio derubato
de' lumicini. Tace la tua mano, Ebe,
il tuo pugnale.
Tace il respiro del mio sonno inquieto
che gela l'ossa e pietrifica il sangue
animato dagli incubi feroci.
Tace il tuo labbro.
Tace la tua vendemmia, la tua danza,
il tuo sorriso che riempie le coppe
di ebbro veleno. Tace il fiele amaro
che sale in bocca. 
Tace il nettare dolce delle rose
che appassiscono presto a dare spazio
a' crisantemi. Tace.... Tace il vespro
della mia steppa.
Tace l'Anima amica d'una viola
sopravvissuta alla fine d'Estate.
Tace il dipinto d'una Madonnina
su un vecchio muro.
Tace la siepe del parco ridente
dove i bambini giuocan con l'assillo
de' compiti sgraziati. Tace il ferro
di ampi cancelli.
Tace il cane da caccia quando passo
vicino. Tace il cinguettio di stormi
fuggenti. Tace l'erba che calpesto.
Tace dovunque
la compagna ombra che trascina pena
selvaggia e ascosta lungo il mio cammino.
Tace... Tace un responso. E questo Eterno
non m'ha a pietà!
Tace il tuo sibilo amico nell'attimo
in cui ti sogno, dardo di Dea. Tace
la tua bocca schioccante orridi oblii
del tuo silenzio.
Tace il tuo crine di Notte splendente
con la Luna di tue belle pupille
che sognano nel giorno. Tace il tuo
vestir pesante
lane d'Autunno. Tace la irrequieta
tua pièta di fanciulla che non sa
i duoli del Pöeta. Tace il Cielo
con i suoi Ángioli.
Tace l'edera fulva de' il vegliardo
giardino. Tace l'ululato canto
de' levrieri pe' i corni della caccia;
e taci tu,
che non ti mostri e non rispondi a' cenni
del tuo cantore. Tace il tuo respiro,
la tua parola sussurrata. Tace
il tuo bel volto
co' tuoi capelli raccolti sul morbido
candido collo. Tace il tuo mento, o uva,
che spremi i vini de' i rimorsi estivi
e della Sorte.
Tace l'onda che va e si perde altrove
de' vicini ruscelli. Tace il lezzo
fangoso degli stagni e delle tife
che putrefatte
volgono l'ultimo addio al Sole. Tace
la chiesetta di Santa Maria,
il suo vïale spogliato di foglie
cadute e secche.
Tace il marziale campo ove i fanciulli
si rincorrono lesti. Tace il pioppo
che adombra i loculi al cimitero, urlo
di atroci pene.
Tace questa sperata e grazïosa
dedita bocca a' melliflui responsi
che non mi giungono ancora nel vasto
e freddo Autunno.
Tace la pazïenza nelle vene
del cuore che mi distillano noie
d'attese sempiterne e funestate.
Tace la panca
ove mi seggo, aspettando il rumore -
forse - de' il passo tuo. Tace il sogghigno
de' l'orizzonte che nella sua Notte
or mi divora.
Tace dovunque il tuo sembiante bello,
l'impronta del tuo cuore portentoso,
o Ebe. Tace il tuo guardo. E allor m'è regno
enorme silenzio.

James Clarke Hook, Wreckage from the Fruiter, Tardo-Romanticismo inglese, 1889



Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XXIII del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

sabato 20 ottobre 2018

Il Tempo de' Morti - Un'Elegia barbara

La sera or spande urla e ombre su' i vecchi cipressi; e i lontani
mirti seccano, fiori de' le orbe ghirlande de' sacri

bardi. Oh, le tremule arpe! che fendono i nugoli, e il negro
sogghigno dell'àer! Oh, il cupo lamento del Druido!

Oh voi, sì concitati carmi di disperata
profonda doglia!

Gemete sulle tombe de' tristi insepolti, sul Fato,
dite i lamenti oscuri di lupi selvaggi di bosco...

e, forse, ne infondete la Gioia dell'Autunno che immerge
in questa vostra sera simposi di mosto gaudente,

di spumeggiante vino che la stagion di suo
vigor illude.

Ma, intorno, le rose si giaccono pallide a' boccioli
delle brine primiere che l'alba conforta; onde è vano

pensar di raccoglierle, e darle alle effigi sacrate
della Madonna, o a' mani d'amata fanciulla profana,

o mischiarle nell'onda del calice, a conforto
di tanta pena.

Ma i bardi non si placano che cantano truci pensieri,
e fan vaticinate terribili prossime brume....

Ma i bardi continuano a mescere queste crudeli
profetiche parole, a urlar, chiamar queste nebbie.

Oh! se queste avvolgessero i lassi sepolcri silenti,
le lapidi bianche del glauco sembiante spettrale!

Oh! se il mare errabondo dell'ossa splendesse nel vacuo
del loro sguardo!

Oh! se fosse codesto diggià l'invocato riposo
della Natura spoglia nell'attimo in cui dànzan le ultime

fiamme del Sole! Oh se arse doglianze di Vita scendessero
così presto nel ventre cullato da' anonimi vermi!

No! andate via, oh bardi! di tal Morte non siate
i seduttori!

E io vi saluto mie ombre, oh amiche dell'ultimo Sole,
d'un Sogno raccolto nel giovine manto d'un fiore...

di vostra fanciulla ridente che danza di fronte
a' miei occhi sofferenti nel folle silenzio d'un tuono

d'Estate defunta! d'un muto singulto di pietra,
nel cuore! Udite

davver questo saluto... udite! e salvatemi, oh amiche!
Ho paura del Tempo che è giunto vicino a gridare...

a urlare che vergine d'Amore m'avrà questa terra,
che un giorno morrò vecchio, mesto e solitario... esiliato

dalla Gioia, ma nel pianto disceso nel regno funereo...
che è giunto furioso... a urlare che è giunto fremente

il Tempo che annunzia: l'orrendo riposo de' Morti; e
l'altro Tramonto!



Caspar David Friedrich, Rovine di un'Abazia nel Querceto, Romanticismo tedesco, 1809-1810, Berlino


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato XX del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

domenica 14 ottobre 2018

Ebe

Le sue foltissime ciglia bianche stavano fisse su quel calice che, appena alzato da una mano vecchia e tremula, traboccava di raffinato vino, uno di quei delle migliori vendemmie. Appena nascosti, i suoi occhi fissavano ancor più il divino sangue della vite e de' suoi tralci; e sembravano quasi assenti di fronte alla realtà, una tavola imbandita, un attimo dedicato a un festeggiamento di trofei e di vanità... erano contemplativi, perduti in qualche orizzonte non presente... fors'anche mai esistito, o premonitore di una Vita migliore prossima ad accoglierli.... Affogavano e naufragavano ripetutamente nel vino, ed erano ebbri... ebbri di qualcosa di non ben definito, almeno per il momento.
D'intorno, sedevano rispettosi e pieni di ossequio molti ospiti, elegantemente vestiti, qualcheduno perfino se ne stava con il cilindro sulla testa; qualchedun altro lustrava con un tavagliuolo di tessuto pregiato il corpo del bastone da passeggio... sia chiaro, non uno di quelli che si usano davvero per camminare, ma un che fia d'uopo mostrare per ottenerne una certa opinione, un vacuo o reale aspetto di ricchezza e di eloquenza. Oh quanta triste e prepotente Vanità!... Quanto inutile spreco di apparenza e di futilità in quel simposietto che stava giungendo a termine!
Tutto d'un tratto, infatti, fu declamato un brindisi che sùbito dopo fu ripetuto in un coro sempre più crescente, come in un canone da chiesa; e fu un cozzare di vetri, di saluti... di sguardi amorosi, colpevoli... di occhiatacce miste a gelosie perverse e ben radicate... di convenevoli tra un ospite e l'altro. 
Soltanto il Signor Corrado, il vecchietto prossimo a' novant'anni che veniva festeggiato per il suo immenso contributo all'arte delle Lettere, con tanto di messa in mostra di articoli di giornale provenienti da tutto il Regno, non sembrava partecipare del brindisi... il suo brindisi! ma pareva davvero del tutto assente, trasognato nel suo sguardo infisso a quel calice e a quel vino, perduto... fattosi muto dopo molte parole spese per tutta la durata della cena, se appunto di cena si poteva parlare. Del resto, erano soltanto le sei della sera, o meglio, di un melanconico meriggio di inizio autunno... e tutto stava per finire con il brindisi. Il festeggiato, infatti, aveva ormai molti problemi di digestione, e cenare in un'ora più consona agli ospiti non sarebbe stata una galanteria ne' suoi confronti che, altrimenti, avrebbe vegliato tutta la notte, o peggio. Si sa che diventare vecchi non è mai bello, anche se una vita vissuta probabilmente è tale dopo i novant'anni, anche i cento. Al diavolo Mimnermo con le sue liriche! Si vive per invecchiare, e si invecchia per morire... per spirare felicemente, con un alone di saggezza non dico nel cuore, ma almeno alle spalle.
Ma il Signor Corrado era forse felice in que' suoi festeggiamenti, dove prima di tutto, altri, perfino de' sconosciuti, si pavoneggiavano con uomini e donne pensando di sostituirlo e di fargli riuscire la cosa assai gradita? Quando anche lui ebbe avuti i suoi quaranta, trent'anni faceva forse così con i suoi amati vecchietti?.... No! Che disgusto! Altri stavano dunque per prendere il suo posto, e non sapevano poi bene... anzi, per niente, di che cosa si sarebbe trattato.
Egli ebbe la gloria... molta gloria, ma poi? Come accade a coloro che seguono furiosamente i loro Sogni e il martellante gridìo delle Idee e degli Ideali più alti, come succede a chi vive o si nasconde dietro una fede granitica e prepotente, no... egli non poteva essere felice, non poteva davvero sorridere davanti a una vita intera consegnata alla solitudine più oscura e disperata. Che tristezza! A quanta gioventù aveva rinunziato per tirare avanti con gli studi... a quanta bellezza della Vita concreta, con le sue stagioni, con il suo sole e le sue tempeste aveva detto il suo "No!"... quanto lo aveva fatto soffrire la mancanza incolmabile di un po' d'Amore, di un cuore altrui che, al contrario, lo avrebbe ascoltato, accolto... compreso!.... No! Come poteva dirsi felice?
"La Felicità non esiste" soleva ripetere con voce altisonante e imperiosa quand'era ancora un po' più giovine "è soltanto una stolida invenzione de' Poeti classici che si illudevano di ubriacarsi e di amare", ed era solito aggiungervi "E Iddio? Iddio ci ha destinati al dolore in questo mondo... e bisogna accettarlo". E se qualcheduno avesse osato ribattere e dirgli che le sue asserzioni erano menzognere, egli lo avrebbe ignorato borbottando qualcosa di incomprensibile, con fare indispettito e nervoso; e se un altro gli avesse detto che proprio perché Iddio ci ha destinati alla sofferenza bisogna ribellarsi per bene, diceva semplicemente "Siano banditi i Titani", e gettava un'occhiataccia da inquisitore sul povero malcapitato. 
Anche nell'ambito della politica Corrado era profondamente cambiato. Era nato sotto la tirannia di Buonaparte e, da giovine, ovvero tra i quindici e i trent'anni, s'era fatto prendere un po' troppo da certi languori rivoluzionari e innovativi, tant'è che ne' disordini del 1830 ebbe non pochi problemi con la censura e la gendarmeria di Torino. Per tutta la valle, in quegli anni, veniva indicato ora con sprezzo ora con ammirazione come un burrascoso rivoluzionario in contatto con Mazzini; e qualche anno più tardi, per questo, giravano voci che mentre quest'ultimo se ne andava in esilio passando per la vallata in direzione dell'Elvezia, costui lo avesse ospitato nella locanda di una sua parente. E Corrado né smentiva né ammetteva queste cose, i suoi passati. Certo che adesso, negli ultimi decenni del secolo, era molto cambiato. 
Prima di tutto, di rivoluzioni e di guerre d'indipendenza non ne voleva più sapere; e s'era perfino fatta un'idea tutto sommato vicina a una compatente ammirazione nei confronti del miserabile Luigi XVI e de' suoi compari europei. Sì... strizzava un po' l'occhio dinnanzi al dilagarsi di un leggero socialismo, o meglio ancora, a certe aperture politiche del Papa; ma quando la classe operaia rumoreggiava troppo... no, si fermava. Meglio il manganello e la baionetta che avere d'intorno una marea di stolidi illetterati e burrascosi! Meglio lasciar lontani quelli che ragionano con il languore del ventre! Potrebbero anche avere ragione, sì... ma il ventre rimane sempre tale e, per questo, si scontrerà in sempiterno con il Cuore e con la Ragione! Rimaneva, però, un convinto nemico del colonialismo e di ogni impulso di natura razzista, tant'è vero che quando l'esercito italiano acquisì l'Eritrea, egli protestò... e non poco.
Ma queste cose, in fin de' conti, gli davano e gli restituivano ancora una parvenza di vita e di vitalità, fors'anche di piccola e impercettibile gioia. No... no! A Corrado non andava per niente giù il fatto d'aver sprecata la giovinezza in Sogni e futilità d'ogni genere, d'essersi fermato con la mente da filosofo su tante cose che avrebbe dovuto coglierle... prenderle sùbito, e non pensarle... non scansarle con la capacità del pensiero e della riflessione.... Che sventurato! 
Dinnanzi a una bella e virtuosa fanciulla, infatti, ci si può forse domandare se l'Amore... macché, quest'Amore... quest'Amore che intercorrerebbe tra lui e lei, nelle sue più profonde manifestazioni spirituali e carnali, sia giusto o sbagliato? Se sia questo che Iddio vuole? Ci si può forse perdere in disquisizioni su futili differenze di età? O chiedersi se, in fin de' conti, sarebbe lecito gettarsi in un Oceano di purissimi Sentimenti quando la propria mente, le proprie membra fossero pietrificate e rigide per via di una Vita intera impostata sulla vergogna, sul martellante urlo dell'onore... su quel che gli altri pensano e si attendono?.... Si può forse disprezzare il proprio mestiere perché si accumolando fallimenti su fallimenti, perché ogni passo che si fa è una caduta... una risata da parte di qualchedun altro, un rimprovero, una rampogna... perché dovunque impera la disillusione più disperata?
No! Corrado non seppe vivere e fu un infelice, destinato da se stesso a esserlo, senza che lui se ne fosse minimamente accorto nemmanco per un breve attimo... nemmeno in una misera e povera intuizione. E ora, dinnanzi al suo simposio, stava lì... pietrificato come sempre, assorto in chissà quali mille pensieri di bene e di male, impossibilitato a prendere una decisione, a scegliere... né di continuare a vivere né di accingersi a morire... senza la possibilità di abbassare quel braccio e quella mano, di gridare anche lui il suo brindisi soave e di scambiare finalmente due chiacchiere spensierate con gli ospiti più vicini... di alzare quel nappo al labbro e di godere di quel vino.... Stava seduto, non volendo ascoltare niente e nessuno, ma il rumore, il baccano lo invadeva... gli faceva tremare le ossa; non osava chiedere più nulla, scoprire la verità del mondo che gli stava d'intorno, delle persone che lo accompagnavano così vanamente in questi momenti che dovevano essere di allegria per tutti. Non parlava e non beveva, con mille sguardi fissi su di lui.... E il tempo scorreva... e scorreva; ed egli rimaneva sempre più fermo, inetto... incapace a tutto da vecchio così come da giovine, esprimendo tutto il putrido fango di Adamo di fronte a Iddio e agli uomini. Restava lì, tenendo delicatamente sollevata con la destra una coppetta di vetro finissimo in cui Ebe aveva versato ormai da molti istanti una bevanda amare e dolce di ricordi, di rimembranze fatali e di accuse. La Dea greca della Gioventù, la Coppiera degli Dei, sì... ora era diventata la fedele ministra d'Iddio, e si riversava su Corrado ricordandogli tutti i passati mancamenti avuti ne' suoi confronti. E gli recitava... sì! gli recitava l'Ecclesiaste, con la sua divisione de' tempi della Vita, con le sue Vanità da amare e da disprezzare insieme.
Ma nel frattempo a Corrado si ergeva una strana voce dal cuore... un singulto lieve e sottile che da ultimo gli ordinava "Bevi! Bevi! e ridi!"... un singhiozzo che gli sussurrava che nulla era perduto, che gli cercava di far comprendere che la gioventù era ancora lì, Ebe, in quel calice, sotto la parvenza di quel vino... lì, mista perfino con un po' di sangue del Redentore.... Bastava bere! Bere per ridere, per vivere e per salvarsi... per coprire finalmente con un po' di Gioia l'inettitudine di anni e anni trascorsi a rifiutare inviti, a non sapere come comportarsi, a essere impacciati... a reputarsi indegni di amicizie e di Amore. "Bevi!" continuava a ordinargli sempre più frequente, e fremendo tra il chiasso degli ospiti, ignari di questa battaglia... di questa Waterloo della coscienza... della misera e miserabile mente d'un decrepito vecchietto, forse giunto ai quasi novant'anni perché non del tutto consumato dal corso della Vita. "Bevi! e ridi!".
Eppure, cos'era per Corrado questa voce, questo sussulto leggero e sottile, se non una semplice illusione, un furioso farsi avanti in pieno giorno d'un Sogno beffardo e pungente? Se non un Demòne crudele che gli rammentava i suoi fallimenti, e che faceva questo travestendosi da ministro d'Iddio, e fingendosi voce del Santo Spirito?.... La sua Vita, infatti, era finita, e la sua gioventù era trascorsa; e niente, e nulla gli avrebbe potuto ridare tutto ciò che perdette... sia chiaro, per colpa sua. Ed Ebe se ne era andata altrove, laddove c'erano persone che la meritavano davvero, i veri giovinotti, coloro che sono veramente degni di amare e di provare passioni e gioie; e agli occhi di Corrado, in quel calice la Dea aveva lasciato semmai le sue vesti da lutto per ritornare poi a vestire i più candidi pepli. Tutto era finito. Tutto poteva dirsi finito!
Allora il Signor Corrado tutto d'un tratto abbassò il braccio, la mano... il nappo e, preso da sdegno verso se stesso da un sentimento di ira, lo scaraventò giù, contro il pavimento. Ci fu un piccolo ma assordante rumore di vetro infranto. Tutti si volsero verso di lui; ed egli, timidamente, coprendosi il volto con le mani e abbassando la testa, si mise finalmente a piangere.

Thomas Faed, Oh, Why I Left My Hame, Romanticismo scozzese, Secolo XIX


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XIV del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.