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mercoledì 3 gennaio 2018

Canto inquieto d'un Bardo irlandese alle Sponde dell'Atlantico

Ascolta, Ocèano, il gridàr di mia arpa;
e ruggi con le tue onde giovinette
come responso nell'eco al mio canto!...
e di leggiadra quiete il labbro, ahi! riempi
d'un cuor che a te si affanna e a' scogli tuoi;
e digli: - Canta!.... Canta ancora, oh Bardo! -
nel terreo cièl della tua immensità!....
Oh prode prole di Ossian, e di prue
selvagge date all'ignoto orizzonte,
oltre quelle che dòminano vette
tempestose e possenti in cui (io) ne ammanto
sovente i Sogni poetici e i tempi
dei più brevi àttimi irredenti, e i buoi
lagnàr ascolto dai campi, e il beffardo
chiasso del lòr muggìto che sen va;
tu, oh màr sì fosco e tenue, che alle tue
vìscere accogli i legni che per onte
di tua Tempesta naufragàr dovèttero,
vasta distesa di acque immacolate
negli ìncubi di abissi tormentati
e nel sognàr de' i Tritòni festosi...
tu, veglia cui mi astrìngi nella Notte
perché io possa fàr còmputo dei colpi
che per Natura a' i lidi dài, e a' confini
terrestri di mio molo solitario,
dove (io) mi pasco di tua vastità;
ascolta! I versi miei alfìn ne cedèttero,
e l'ansie emèrgono, ombre funestate
dai sacri patti dei pàvidi Fati;
e allòr, così piangenti e lamentosi,
di Fìngall d'urli colpendo le grotte,
odi! a te làgnano Inni che, avvolti
nell'infinito étere, i meschini
non detti desìi che nel mio sudario
segretamente ispìran, tua beltà!....
Oh Ocèano! Suggerisci a me forse
d'annegare nel tuo letto di gioie
abissali e segrete, mentre in cielo
l'alba tua Luna risplende, e poi specchia
in te il fàscino suo, sì che tutt'uno
voi diventate tra tènebre e lumi,
dond'io invano qui cerco con voi fòndermi
per rapìr anche un sol de'i casti baci
d'una o dell'altro, e avèr la quiete
ambita della vostra libertà!
Oh Ocèano! Dassenno un dì mi mòrsero
in cuòr le tue gaie e sibilanti fole
che qui mi raccontava il tuo bel velo...
velo di Dea gemmata in tanta e vecchia
e inassopita fiamma! e là, nessuno
a disciòglier m'aitò codeste funi
sicché in te ancòr vorrei gettàrmi e pèrdermi
ne' arrendèvoli Sogni sì fugaci
che nàcquero da tanto pe' aspra sete
d'un Amòr che non può sentìr pietà!....
E mi rimane in questa mia ansia Vita
il ricordo soltanto del tuo fùlmine
che d'ìmpeto mi colpì il freddo cuor!

Kaspar Friedrich, Le Bianche Scogliere di Rugen, Romanticismo tedesco, Prima Metà del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì II del Mese di Gennaio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

mercoledì 22 luglio 2015

Rapsodia romantica della Foresta d'un Bardo

I. Salici d’oro dei monti dei bardi,
perché non odo le canzoni antiche?
E qui il Sole tramonta; ed è ormai tardi
i misteri svelàr dell’erbe apriche.
Forse qui il bardo lagnava il suo canto,
ode d’onore, e d’affanni e di guerra,
e intorno sanguinava l’orba terra,
dove il guerrièr s’aggirava in un manto. 
Silenzio oscuro e tacente ora sento,
le frasche sibilàr a un tetro vento.
Salici d’oro, perché non cantate?
In un mare di spettri son io il Vate.

II. Cantava il bardo! La fanciulla mesta
l’orme del suo guerrièr svelta seguiva.
Scrutava i fior, e i gelsomìn, foresta
oscura e cupa che ai monti smarriva.

Una corona di mirto alla testa
ella mostrava, e andava in riva, in riva,
e tra le fronde una freccia funesta
erroneamente nel cuor la colpiva.

Così e mentre nel ciel vi fu Tempesta,
silenziosa e soffrente ella moriva.

Cantava il bardo! Che ella fu confusa
da un cacciatòr per una cerva, e al cuore
ei la feriva. E il bardo alla sua Musa

cantando singhiozzava di dolore;
e seguitava! Oh mest’Anima illusa:
quei che vibrò la freccia fu il tuo Amore!

Trillava il bardo la sua cornamusa;
e un silenzio giungeva, e poi il sopore.

Elegìa a lei che muore!
E venne estate, e fu autunno ed inverno,
fuggiva il Tempo. Rimase l’Eterno.

III. Sogno dei bardi e dei canti normanni,
perché mi gridi i pensièr d’un Tramonto?
La Vita passa, e giungono gli affanni,
e dei dolori io non so che racconto.
Mar di mestizia nel cuor mi s’annida,
e le sventure temo, e il Fato; e illudo
i miei timòr con la Poësia, un crudo
patimento che il Cielo mi confida.
Piango su un Tempo che non ho mai visto,
sulle foreste del bardo più tristo.
Sogno dei bardi, che mai è questo trillo?
No, non è l’arpa; è soltanto il mio assillo!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XXII Luglio AD MMXV